Crociere ed ecosistema. Per la laguna e per il lavoro
di Gianfranco Bettin – E’ ricominciato un gioco – un gioco rischioso – già visto in altri anni: contrapporre ambiente e lavoro, in questo caso l’economia e l’occupazione legate alla crocieristica e l’ecosistema lagunare.
E’ possibile evitarlo. Innanzitutto, riconoscendo francamente che il problema c’è: in questo momento, un “momento” che dura da alcuni anni, la contrapposizione esiste. Inutile far finta di niente. Non solo perché sarebbe ipocrita, ma perché la finzione, l’elusione o la rimozione del problema, non aiutano a risolverlo, anzi. Infatti, c’è chi soffia sotto, in particolare qualche padrone delle ferriere/crociere. E parte della politica.
I LAVORATORI hanno tutto il diritto di dire che in primo luogo vogliono avere garantito il lavoro.
MOVIMENTI, comitati, associazioni, opinione pubblica sensibile, hanno tutto il diritto di dire “fuori le navi dalla laguna”.
E’ la politica, sono le istituzioni, gli organi di governo e chi si candida a ricoprirli, a cominciare da singoli candidati sindaci o consiglieri o forze politiche e coalizioni che si candidano a governare Venezia a non dover dire solo “fuori le navi dalla laguna” (o “dentro”, viceversa). Devono rispondere a quei lavoratori, e anche alla laguna, su come intendono concretamente perseguire questo obiettivo, quali conseguenze avrebbe, come intendono farlo senza devastare economia e occupazione (o l’ambiente, di converso), con quali forze.
Personalmente ho argomentato molte volte l’opposizione alla soluzione Marghera (e, prima, al Contorta, o all’uso del Vittorio Emanuele per far arrivare in Marittima anche le navi maggiori), ma la riassumo qui: con il crescente gigantismo delle navi chi intende collocare la nuova stazione a Marghera (nel canale Nord o altrove) dovrà necessariamente prevedere nuovi scavi (in profondità e in ampiezza) sia del Malamocco-Marghera che dei canali industriali interessati (ed eventualmente del Vittorio Emanuele, se il suo uso fosse previsto anche per le stazze maggiori). Ciò significherebbe infliggere un colpo mortale all’ecosistema lagunare, già dissestato (con l’aggravio del “climate change” in atto, come si è visto tragicamente a novembre con l’AQUA GRANDA). Inoltre, con l’eventuale entrata in funzione del Mose e l’aumento evidente (a causa dell’effetto serra e delle stesse manomissioni locali) delle frequenze delle maree medie, alte ed eccezionali, e quindi con la chiusura ripetuta delle bocche di porto, l’inaffidabilità del porto sia per le crociere che per i traffici commerciali (a loro volta segnati dal gigantismo delle portacontainer) risulterebbe sempre maggiore. Senza contare che, avendo la precedenza le navi bianche su quelle commerciali, e potendo farne transitare solo una alla volta, il colpo al porto commerciale risulterebbe micidiale. Oltre a dover collocare le navi crociera in mezzo a una zona industriale, tra impianti e serbatoi pericolosi, sottraendo spazi preziosi ad attività che rappresentano un antidoto alla monocultura turistica (come gli stessi sindacati dei chimici e dei metalmeccanici hanno più volte detto).
La sola risposta alla necessità di non manomettere ulteriormente la laguna, e di evitare i rischi connessi al transito della mega navi nei canali della città o della zona industriale, consiste nel collocare fuori laguna la nuova stazione e consiste anche nel riprendere il progetto di porto off-shore per le mega portacontainer (in abbinata, o in sedi diverse: con le navi crociera eventualmente alla bocca di porto del Lido, visti i progetti relativi, se l’ipotesi si verificasse sostenibile).
Solo questa prospettiva, per me, può garantire il mantenimento a Venezia, DI FRONTE e NON DENTRO la laguna, di attività come queste. Mantenerle all’interno, giocando al rinvio o forzando in questo senso le scelte, significa condannare il settore, al primo incidente o alla prossima emergenza ambientale, a soluzioni traumatiche, che l’opinione pubblica mondiale imporrebbe, e che imporrebbero i costi ambientali e insieme economici insostenibili che ciò provocherebbe.
Chi, a cominciare dalla giunta Brugnaro e dalla Regione Veneto, ha finora sostenuto progetti insensati come il Contorta, o il Vittorio Emanuele, ha solo fatto perdere tempo per mantenere lo status quo. Ma lo status quo è diventato sempre più pericoloso. Lo stesso sta accadendo con la proposta di Marghera, mentre si fa finta che non esistano progetti come il Duferco (che qualche via libera l’avrebbe anche ottenuto), o gli altri alla stessa bocca di Lido, o l’ipotesi off-shore appunto (valida anche per le grandi portacontainer, se non vogliamo perdere questo segmento sempre maggiore dei traffici).
Qualcuno ironizza sulla proposta che la coalizione di centrosinistra e il suo candidato sindaco hanno avanzato di svolgere – finalmente – una vera comparazione indipendente e trasparente tra i progetti in campo, alternativi allo status quo, e basata sul vincolo di evitare nuove manomissioni dell’ecosistema lagunare.
E’ vero che si tratta di un punto di equilibrio tra visioni diverse (inevitabili in una coalizione ampia quanto serve per almeno PROVARE a sconfiggere Brugnaro e Zaia, che se vincessero terrebbero certamente le navi IN laguna; ma idee diverse convivono anche tra chi è contrario in generale alle navi in laguna: bisogna quindi trovare comunque una soluzione comparando queste idee e infine scegliendo).
Bisogna far emergere, nel giro di qualche mese, in un quadro chiaro a tutti, i pro e i contro delle diverse ipotesi (mentre intanto ai lavoratori del settore vanno garantiti, per tutto il tempo necessario, adeguati ammortizzatori sociali, tanto più se perdurasse la pandemia) e poi va scelta la soluzione migliore.
Sono convinto che ciò porterebbe a un superamento dello status quo attraverso una sorta di EXIT STRATEGY, con ragionevole gradualità ma con la necessaria radicalità e celerità, facendo uscire dalla laguna ciò che non è più STRUTTURALMENTE in grado di entrarvi, pena il dissesto totale – e quindi pena la fine del settore, poiché l’Italia e il mondo e Venezia stessa non lo sopporterebbero (ma intanto avremmo perso altri anni e causato altri guasti).
Aprire il confronto tra lavoratori e movimenti e opinione pubblica locale e internazionale, garantire a chi lavora che, nella transizione, lo Stato, che considera ciò, come da Legge Speciale, di “preminente interesse nazionale”, garantirebbe l’occupazione, significa GESTIRE POLITICAMENTE – nel senso più alto, responsabile e lungimirante che la politica può assumere – una situazione che potrebbe finire drammaticamente fuori controllo, proprio come un transatlantico allo sbando in un canale.